Il digiuno è una pratica radicata da millenni in molte culture tradizionali, tra cui quella cristiana, quella ebraica, musulmana, ecc… A questa pratica vengono attribuite da sempre capacità depurative, sia fisiche che mentali. Nel corso dell’evoluzione dell’essere umano, partendo da centinaia di migliaia di anni fa, la frequente difficoltà nel reperire cibo in modo regolare, ha reso il digiuno un elemento che ha spesso accompagnato la vita dei nostri antenati, tanto da potersi quasi considerare uno stato fisiologico.
Digiuno e restrizione caloria
In epoca recente, per digiuno si intende una volontaria astinenza dall’assunzione di cibo protratta per un certo periodo di tempo e condotta in modo intermittente, ovvero alternata a giornate di alimentazione abituale. Per restrizione calorica, invece, si intende una riduzione più o meno marcata dell’apporto calorico medio giornaliero (di solito ridotto del 30%), senza instaurare una condizione di malnutrizione.
Una pratica tornata in auge
Oggi il digiuno è tornato sotto le luci della ribalta, sia nel mondo scientifico che tra l’opinione pubblica, grazie ad alcuni ricercatori che lo hanno reinterpretato, attribuendo a questa pratica valenze preventive e terapeutiche.
Studi in laboratorio
Studi sperimentali sull’animale ci confortano riguardo l’efficacia del digiuno o della restrizione calorica intermittente. Nel topo, periodi di riduzione importante dell’assunzione di cibo sono in grado di aumentare l’aspettativa di vita (11%), assicurare una minor incidenza di malattia fino alla fine della vita (specie riguardo al cancro), migliorare i parametri di salute cardiovsacolare, aumentare i markers di rigenerazione cellulare.
Ricerche applicate all'uomo
Nell’uomo, tuttavia, i dati sono controversi e difficili da confrontare. Una pietra miliare negli studi del digiuno/restrizione calorica è rappresentata dal Minnesota Starvation Study, nel corso del quale vennero mantenuti alcuni volontari sani per circa un anno ad un regime di restrizione calorica. Alla fine dello studio, coordinato dal famoso Ancel Keys – inventore del termine di ”dieta mediterranea” - i ricercatori notarono un grave peggioramento della sfera emotiva e psichiatrica dei partecipanti, molti dei quali andarono incontro a stati depressivi importanti che in rari casi sfociarono anche in episodi di autolesionismo. In generale, si osservò un declino generalizzato delle funzioni fisiche che talvolta non fu completamente recuperato nella fase post esperimento.
Altro pioniere della restrizione calorica fu Ray Walford, che negli anni ’90 rimase chiuso in una struttura artificiale nel deserto dell’Arizona insieme ad un gruppo di ricercatori, seguendo un regime alimentare fortemente ristretto per due anni, al termine dei quali lo stato di salute complessivo dei partecipanti, nonostante la consistente perdita di peso corporeo, fu tutt’altro che migliorato.
Efficacia del digiuno per brevi periodi
Per contro, alcuni studi su volontari umani sottoposti a digiuno intermittente o a restrizione calorica per brevi periodi sembrano mostrare effetti positivi sulla salute (calo di peso, riduzione della pressione arteriosa, miglioramento del profilo lipidico, aumento della rigenerazione cellulare). Certamente occorrono altri studi, condotti in modo rigoroso su un gruppo di persone ben più ampio, sane e malate, per comprendere in modo altrettanto rigoroso se e quanto periodi di digiuno o di restrizione calorica possano migliorare lo stato di salute precedente.
Studi per cure oncologiche, cardiovascolari e metaboliche
Per concludere, sembra evincersi dalla tradizione culturale millenaria e dalla letteratura scientifica più recente, soprattutto pensando alla nostra epoca caratterizzata da un introito calorico medio superiore alle nostre reali necessità, che periodi brevi di modesta restrizione calorica (qualche giorno consecutivo o un giorno a settimana) possano rappresentare un mezzo efficace per migliorare lo stato generale di salute, attraverso la riduzione del peso corporeo e della pressione arteriosa, il miglioramento del profilo lipidico e dei markers di infiammazione. Questa abitudine potrebbe rivelarsi utile anche in diversi quadri patologici già conclamati (malattie cardiovascolari, metaboliche, oncologiche), ma al momento mancano studi scientifici sufficientemente solidi per poter consigliare indiscriminatamente questa pratica, che può essere comunque riservata a casi selezionati e con un adeguato supporto medico.